sabato, dicembre 29, 2007

Alcuni risvolti filosofici a proposito di caos.


Pierre Simon Laplace è stato uno dei matematici che maggiormente hanno influito sul pensiero occidentale. Egli è stato probabilmente il sommo rappresentante del determinismo scientifico.
Immagino che ormai tanti di noi si sono resi conto quanto in profondità il pensiero deterministico - nato in seno alla scienza ed alla matematica classica post-newtoniana - è penetrato nella nostra civiltà, nel nostro modo di pensare e di sentire.
Scriveva nel 1812:
"Immaginiamo un'Intelligenza che dovesse conoscere ad un certo istante di tempo tutte le forze che agiscono in natura e la posizione di tutte le cose di cui il mondo è fatto; assumiamo, inoltre, che questa Intelligenza sia capace di sottoporre tutti questi dati all'analisi matematica. In tal caso essa potrebbe derivare un risultato che comprenderebbe in un'unica formula il moto dei più grandi corpi dell'universo e degli atomi più piccoli. Niente sarebbe incerto per questa Intelligenza. Il passato ed il futuro sarebbero presenti ai suoi occhi."

P.S. Laplace - Teoria della Probabilità.


Guardandosi indietro non è difficile osservare che, a partire dalla fine dell '800 e per tutto il XX secolo, la percezione comune del futuro collettivo e individuale è stata spesso contrassegnata da un'aura di ineluttabilità, di predeterminazione (scriptum est): il futuro visto come qualcosa che muove da uno stato perfettamente definito da una causa prima verso una destinazione altrettanto perfettamente determinata a priori. La causalità scientifica si è scontrata con la finalità religiosa, sopraffacendola.
Molte scoperte scientifiche sembravano corroborare quella conclusione (almeno fino all'avvento della meccanica quantistica con il suo portfolio di probabilità e indeterminazione che pochissimi tuttavia riuscivano, e riescono, a comprendere appieno), con il risultato che - se anche non consapevolmente, almeno inconsciamente - pochi ne hanno più dubitato.
Sarebbe interessante sviluppare il tema delle ricadute politiche, sociali e culturali di questa tendenza del secolo appena passato, che ancora caratterizza il nostro modo di pensare e di agire.

La visione deterministica che non lascia scampo al libero arbitrio viene scompaginata sul finire del secolo scorso dall'irrompere nel panorama scientifico di sistemi semplici e soprattutto deterministici - quelli caotici - che però mostrano un comportamento del tutto impredicibile anche da un'Intelligenza, quale quella immaginata da Laplace, che avesse a disposizione tutti i dati fisici dell'universo ad un qualunque istante. Questa Intelligenza, se pure conoscesse tali dati con precisione infinita, ancora non potrebbe avere tutto il futuro e tutto il passato davanti agli occhi, perché non potrebbe risolvere in forma chiusa i sistemi di equazioni differenziali che reggono un sistema caotico.
Esistono cioè sistemi deterministici che esibiscono un comportamento impredicibile, o indeterminabile: quello che suona un ossimoro è in realtà sostenuto dalla matematica.

"Quindi, perfino Dio deve lasciare che [la dinamica di] questi sistemi caotici evolva per vedere cosa accadrà nel futuro. Non vi è nessuna scorciatoia per la predizione per i sistemi caotici."

Robert C. Hilborn - Chaos and Nonlinear Dynamics.

venerdì, dicembre 21, 2007

La nuova scienza del caos.


A partire dagli anni '60 in poi, con alterne vicende e grandi dosi di scetticismo da parte della scienza cosiddetta "ufficiale", quando non proprio un'aperta ostilità, il caos deterministico è stato osservato in una grande quantità di sistemi dinamici. Per chi volesse ripercorrere l'avventura dell'affermazione delle idee e dei principi legati al caos una lettura davvero interessante e ben scritta è Caos - La nascita di una nuova scienza di James Gleick, dal quale ho preso la seguente citazione:
Dove comincia il caos si arresta la scienza classica. Finché il mondo ha avuto fisici che investigavano le leggi della natura [la scienza classica] ha infatti sofferto di una speciale ignoranza sul disordine presente nell'atmosfera, nel mare turbolento, nelle fluttuazioni delle popolazioni di animali e piante allo stato di natura, nelle oscillazioni del cuore e del cervello. L'aspetto irregolare della natura, il suo lato discontinuo e incostante, per la scienza sono stati dei veri rompicapo o peggio mostruosità.
Il sito ufficiale di Gleick è un altro buon punto di partenza per approfondimenti e letture legate al caos.
L'effetto farfalla di Lorenz ha ispirato una nuova generazione di fisici e di scienziati di altre discipline verso nuove strade nell'esplorazione della natura. Da allora ad oggi, nonostante gli enormi passi, manca ancora una comprensione profonda del fenomeno, di cui però non si trascura più la portata in termini epistemologici.
Anche dal punto di vista matematico non è ancora compreso il problema di fondo. Perfino la definizione di caos non è ancora matura, sebbene esistano dei metodi per poter giudicare se un comportamento dinamico può dirsi caotico oppure no: si tratta di misure di certi parametri dinamici che possono poi essere usati per classificare un sistema.
Si sono anche individuati dei comportamenti dinamici di transizione, cioè il cosiddetto percorso verso il caos (raddoppio del periodo e biforcazione): sono anche queste delle tracce del caos, che ci aiutano a stabilire quando un sistema deterministico si sta spostando verso una dinamica caotica.
Sono anche state individuate molte proprietà del caos - una fra tutte: l'invarianza di scala, l'autosomiglianza del caos -, ed è stato possibile attribuire ad esso caratteristiche di universalità, nella la forma delle classi di universalità legate ai numeri di Feigenbaum. La scoperta di quest'ultima proprietà ha del rivoluzionario se pensiamo al fatto che le stesse caratteristiche dinamiche sono valide per sistemi in natura che apparentemente non hanno niente in comune tra loro, come un diodo, un fluido, una galassia ed un ecosistema. Certe caratteristiche, cioè, non sono specifiche di un determinato sistema reale, ma denunciano una qualche proprietà universale della natura.
L'attrattore strano è probabilmente l'impronta digitale del caos, non fosse altro che perché esso fornisce una rappresentazione dinamica intuitiva. Il primo attrattore strano che è stato disegnato è quello di Lorenz, ma ormai ne esistono centinaia, tutti diversi uno dall'altro ma tutti aventi in comune le proprietà del caos.
La relatività eliminò l'illusione newtoniana dello spazio e tempo assoluti; la teoria quantistica eliminò il sogno newtoniano di un processo di misurazione controllabile; e il caos elimina la fantasia laplaciana della prevedibilità deterministica.
Joseph Ford - What is chaos, that we should be mindul of it?

lunedì, dicembre 10, 2007

La farfalla di Lorenz.


Era il 1960 quando Edward Lorenz elaborò un modello per la previsione delle condizioni meteorologiche a prima vista piuttosto semplice. Tale deve essere sembrato anche a lui.
Il modello poteva essere scritto come un sistema di equazioni differenziali non lineari, tutto sommato semplice, del quale però non si riusciva a trovare una soluzione in forma chiusa. In altre parole non era possibile integrare le equazioni differenziali, in modo da esplicitare la dipendenza dal tempo delle tre variabili.
Questa esplicitazione avrebbe permesso di ricavare ciascuna delle tre variabili come funzione del tempo (es. y = f(t) ) - cosa che equivale a risolvere in forma chiusa il sistema, come amano dire i matematici, e che avrebbe permesso di ricavare una previsione puntuale delle condizioni atmosferiche, o almeno una previsione compatibile con le assunzioni fatte da Lorenz per elaborare il suo modello.
Questa impostazione era perfettamente compatibile con il pensiero fisico dominante per quasi tutto il secolo scorso, secondo cui tutte le fenomenologie possono essere ricondotte nell'alveo del determinismo matematico, dato che la realtà osservabile è espressione di una qualche forma di stabilità del sistema osservato. E chiedo venia per l'estrema sintesi di questi concetti.
Pur non essendo risolvibile in forma chiusa, il sistema elaborato da Lorenz può essere risolto numericamente, con l'ausilio del calcolatore. La rappresentazione geometrica - nello spazio delle fasi - delle traiettorie di stato che emerge da queste simulazioni è sorprendente, e costituisce oggi il più famoso esempio di sistema caotico. Le traiettorie non si ripetono mai, non se ne troveranno mai due che si sovrappongono.
Il sistema è imprevedibile, dato che non se ne possono scrivere le funzioni integrali, ed è tuttavia stabile e presenta una certa regolarità. Un ordine nascosto, impossibile da immaginare a priori.
Il sistema è sensibilissimo alle condizioni iniziali: la più piccola variazione di queste può dare luogo ad una evoluzione dinamica completamente diversa da quella che si avrebbe se la variazione non ci fosse stata.
Da qui la celebre riflessione di Edward Lorenz:
può il battito d'ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?

(dal titolo di una lettura tenuta dallo scienziato nel dicembre 1972 a Washington - cfr. R. Hilborn - Chaos and Nonlinear Dynamics - pag. 38).

La ricchezza della dinamica che si nasconde dietro quelle tre semplici equazioni è incredibilmente vasta.

sabato, dicembre 08, 2007

La "semplicità" del pendolo.


Chiunque abbia fatto un corso di fisica alle scuole superiori si è imbattuto nel cosiddetto "pendolo semplice", uno degli esempi di uso più comune nella didattica.
Noto fin dall'antichità, esso ha ispirato le fondamentali intuizioni di Galileo Galilei che poi portarono il grande uomo alla formulazione della proprietà dell'isocronismo, e aprirono la strada ai concetti di moto e quantità di moto che stanno alla base della meccanica classica.
A parte queste note storiche, fin dal nostro primo incontro con il pendolo ciò che ce ne rimane in testa maggiormente è la sua "semplicità": il moto del pendolo è descrivibile con una semplice equazione. A seconda di determinate condizioni iniziali - angolo, massa, lunghezza - si riesce a descrivere tutto il futuro del comportamento del pendolo senza possibilità di errore. Il comportamento è periodico nel tempo a condizione di trascurare alcune forze che non hanno un'attinenza diretta con il meccanismo, seppure siano ineluttabili in un pendolo reale: attrito e resistenza dell'aria.
E' tuttavia possibile includere queste componenti nell'equazione del moto del pendolo, che da ideale e lineare diventa così reale (almeno un po' di più, visto che si considera comunque tutta la massa come puntiforme e concentrata nel vertice inferiore dell'asta) e non-lineare. L'equazione è significativamente modificata, ma a prima vista non si potrebbe dire che gli effetti possono sconvolgere la nostra prima comprensione del pendolo: esso dovrebbe rimanere un sistema semplice e assolutamente prevedibile.
Vi invito a fare un'esperienza diretta del pendolo siffatto giocando col simulatore disponibile nel sito web MyPhysicLab.com.
A seconda della scelta dei parametri del sistema il comportamento del pendolo, pur restando assolutamente deterministico, diventa assai simile ad un comportamento totalmente casuale. Si tratta di una dinamica caotica, in cui non è possibile predire le condizioni cinematiche del sistema (es. velocità, posizione, accelerazione) pure nel caso in cui siano ben note le condizioni iniziali.
Questo aspetto fa apparentemente a pugni con la natura deterministica del pendolo.
Se si osservano le traiettorie delle variabili di stato del sistema si vede bene che esse non si ripetono mai: ciò può essere matematicamente dimostrato. Non vi è periodicità nelle oscillazioni del pendolo. Le traiettorie sono destinate a non sovrapporsi mai, infinitamente. Le variabili di stato non sono più condannate a ripetere sempre gli stessi percorsi, ma libere di fare esperienza di un'infinita varietà di traiettorie possibili all'interno dello spazio di stato. Il pendolo, da semplice, è diventato qualcosa di decisamente più complesso.

lunedì, dicembre 03, 2007

Complessità.


Da oggi inizia una serie di approfondimenti sulla scienza della complessità. Sarebbe meglio dire "le" scienze.
Perché la complessità è un concetto che ancora sfugge ad una definizione precisa, ma che sicuramente si può inscrivere nel più grande cerchio delle conoscenze scientifiche dell'uomo, in cui ha una collocazione trasversale dal momento che ha interessato svariati campi del sapere: dalla matematica alla biologia, dalla sociologia alla fisica, dalla cosmologia alla intelligenza artificiale, dall'informatica all'etologia.
La mia impressione è che questa nuova visione delle cose, nata come una serie di percorsi individuali con nessuna attinenza tra loro, poi sviluppatasi all'interno di diverse discipline ma ancora in modo scollegato, diventerà presto la via maestra per la comprensione della natura, nel senso più ampio oggi possibile per l'umanità rimanendo nell'ambito della conoscenza cosiddetta scientifica.
L'attributo della complessità si può riconoscere in un qualunque sistema in cui si possa riscontrare che l'insieme è organizzativamente superiore alla somma delle sue parti.
Esasperando questo concetto si deve ammettere che qualunque sistema, in quanto tale, è complesso. Un oscillatore del secondo ordine è anch'esso complesso, perché la sua dinamica è inaccessibile ad una sua componente svincolata dall'insieme. Quindi si può dire che ogni sistema è caratterizzato da un grado di complessità.
Per quanto la scienza del XX secolo abbia rappresentato un incredibile passo in avanti per l'uomo nella comprensione della natura, essa è rimasta legata ad una rappresentazione quasi sempre lineare dei sistemi - quali che essi fossero -: sistemi in equilibrio, perché l'assunto fondamentale è stato quello di pensare l'universo come un enorme sistema in condizioni dinamiche stazionarie; e sistemi chiusi, in cui le influenze di altri sistemi - anch'essi rigidamente chiusi - erano trascurate perché considerate di scarsa rilevanza.
Questi limiti fondamentali (sistemi chiusi, in condizioni di equilibrio o molto prossimi all'equilibrio, lineari o - frequentemente - "linearizzati" per trascurare fenomeni di ordine superiore ritenuti poco significativi) hanno posto una serissima tara al metodo scientifico, privandoci spesso della possibilità di cogliere e investigare tutta la varietà e la ricchezza che si nasconde dietro la non-linearità e il non-equilibrio.
More to come.

lunedì, novembre 12, 2007

Il tempo dei Qallunaat.


Nella cultura del popolo Inuit, che abita le zone artiche dell'Alaska, del Canada e della Groenlandia, noi occidentali siamo chiamati Qallunaat.
Gli Inuit hanno un concetto diverso del tempo rispetto a quello nostro.
Quella che segue è solo la citazione da un romanzo, in cui un uomo Inuit riflette riguardo il tempo:
Forse è stato questo il problema che ci ha afflitto nel secolo scorso: i Qallunaat ci hanno portato il tempo. Abbiamo dovuto imparare che esiste il tempo perso. I Qallunaat pensano che l'attesa sia tempo perso, e così perdono il tempo della loro vita.

da Il Quinto Giorno, di Frank Schatzing.

Il tempo, come lo intendiamo oggi, appartiene al patrimonio tecnico dell'umanità.
Il concetto di tempo nasce con l'utilità della sua misurazione, che probabilmente si è rivelata appieno con lo sviluppo dell'agricoltura.
E' chiaro che il susseguirsi di giorni e notti abbia sempre proposto una cadenza naturale anche ai nostri progenitori ominidi, ma non possiamo escludere che il ritmo della vita fosse piuttosto percepito come un ciclo, all'interno del quale cicli diversi si disponessero con ordini differenti.
Il ciclo della vita, e al suo interno cicli minori: il ciclo della fertilità, il ciclo della germinazione delle colture, il ciclo della caccia, quello della pesca, della luna, del sole, di alcune costellazioni; il ciclo dell'acqua, della transumanza, delle migrazioni stagionali. E da qui i cicli religiosi o protoreligiosi, i riti, le cerimonie anch'esse cicliche.

Il tempo probabilmente non esiste. La sua utilità tecnologica ha avuto un tale rilievo nella formazione della civiltà occidentale che oggi il solo pensiero che il nostro orologio digitale da polso stia semplicemente riflettendo le oscillazioni regolari di un cristallo di quarzo ci genera qualche momento di sgomento. Non la misura di una grandezza fisica in sé, o della grandezza fisica per eccellenza, ma semplicemente un ritmo associato alla regolarità di alcune dinamiche reali.
Quelle grandezze cui ci riferiamo quando parliamo di misura del tempo - il minuto, il secondo, l'ora - pensiamo siano in corrispondenza diretta con la nostra vita. Ogni minuto che passa ci appare in relazione biunivoca con la nostra esistenza naturale. Quasi che per ogni frazione di tempo passata si fosse consumata una quantità proporzionale della nostra stessa vita, del nostro organismo, della nostra mente, della nostra salute. E' quasi automatico, non ci fermiamo neanche a rifletterci su prima di accettarlo.

Ma questa grandezza non esiste. Einstein ne ha dimostrato la relatività. Prigogine ne ha chiarito l'incoerenza con i principi della termodinamica, invitandoci a cercare altrove la relazione tra la vita ed i suoi cicli biologici - ad esempio nelle strutture dissipative.

E allora corriamo di meno, e pensiamo di più.

lunedì, ottobre 08, 2007

Lo spartito.

Siamo nel 1890. Supponiamo che un geniale e ispirato musicista
componga la sua opera più bella e la trascriva su uno spartito musicale, e che poi esca di casa, ebbro di soddisfazione, e si rechi nella piazza principale della sua città, e qui affigga sui muri copie manoscritte del proprio spartito per fare conoscere la sua opera alla cittadinanza.
Alcune le lancia dai balconi del palazzo comunale per lasciare che il vento le trasporti ovunque. La sua intenzione è quella di farsi conoscere dal pubblico e far partecipare il maggior numero possibile di spettatori ai suoi concerti a pagamento.
Supponiamo che a quel punto succeda una cosa bizzarra, inaspettata: un bambino con lo sguardo vivace legge in piazza uno spartito e tira fuori dalla propria borsa un foglio e una matita, e lo ricopia. Sorridente, ripone poi foglio e matita nella sua borsa, e se ne va di corsa a casa lasciando lo spartito dove lo ha trovato. Giunto a casa, suona l'opera del musicista una, dieci, cento volte, per il proprio diletto, e per quello dei suoi amici e dei suoi familiari.
A quelli più cari, ricopia lo spartito su un foglio e ne fa dono.
Il bambino suona talmente bene che diversi dei suoi ascoltatori si sentono appagati dell'esecuzione e decidono di non andare ai concerti del musicista.
Nessuno sarebbe neanche sfiorato dall'idea che il bambino abbia rubato l'opera del musicista o abbia commesso un plagio.

Non so quanti di noi si rendono conto che quella che ho appena descritta è la versione ottocentesca di un fenomeno che oggigiorno è diventato assai frequente.
In che misura quel bambino di allora è diverso da un adolescente di oggi che scopre su Internet un un file musicale, e ne scarica una copia sul proprio computer?
In nessuna misura, perché l'adolescente odierno non si è certamente introdotto furtivamente nella casa dell'artista ricopiando uno spartito segreto. Si è limitato a compiere l'equivalente moderno del suo coetaneo ottocentesco che si reca in piazza: ha aperto la propria finestra su Internet, la moderna sconfinata piazza virtuale.
Qualunque opera dell'ingegno destinata ad essere riprodotta in serie (filmati, audio, foto, testi, ipertesti, software) è destinata ad essere comunque convertibile in formato digitale. Qualunque contenuto digitale è inevitabilmente distribuibile in rete, ovvero è quasi automaticamente pubblicabile su Internet. Di più, io dico che la sua natura digitale fa di esso un contenuto già pubblico, in quanto la sua pubblicazione su Internet è scontata, o almeno questa evenienza è rapportata soltanto alla misura del successo e della diffusione di quell'opera, ed è quindi una circostanza puramente probabilistica.
Ignorare questa circostanza oggi è - da parte di autori, editori e distributori - un semplice voler nascondere la testa sotto la sabbia. E voler piegare gli ordinamenti giuridici all'imposizione coatta del divieto di download, copia e riproduzione privata dei contenuti digitali protetti da copyright sembra a me l'equivalente di ordinare l'arresto o l'ammenda per quel bambino di cui si diceva all'inizio di questa riflessione: è insensato, ingiusto, e oltre ad essere una grave limitazione della libertà individuale costituisce anche un costo insopportabile per tutta la società, al solo beneficio di interessi economici costituiti e non più in grado di reggere alla concorrenza.

Più in dettaglio.

Contenuto audio (es. file musicale).
Il file audio deve consentirne l'esecuzione, altrimenti non raggiunge il suo scopo. L'esecuzione di un file audio comporta la lettura dell'informazione, la conversione da digitale ad analogico e la riproduzione attraverso un sistema hi-fi. Questo a prescindere da quale sia il formato originale del file. Con l'avvento di Internet è caduto il monopolio delle major discografiche per la pubblicazione dei CD e per la loro distribuzione, che fino a quel momento costituiva l'unico ostacolo ad una circolazione più libera - e più economica - di musica. La strada dei sistemi DRM (Digital Rights Management) intentata dalle major è una in palese conflitto con le finalità di un file audio, e si è infatti dimostrata fallimentare: la necessità stessa di dovere a un certo punto ricostruire il segnale analogico e riprodurlo su un sistema hi-fi è sempre stato in antitesi rispetto ai propositi del DRM. Il modello di business tradizionale delle case discografiche è obsoleto. La vendita on-line direttamente dagli artisti o attraverso portali musicali, a basso costo, diventerà la nuova realtà. Quello dei CD diventerà un mercato di nicchia, per collezionisti ed appassionati. La circolazione, anche peer-to-peer, dei file musicali sarà libera e consentita, e costituirà il miglior canale per la promozione dei brani musicali - l'equivalente digitale del passa parola, che da sempre è il mezzo migliore per fare pubblicità.

Contenuti video (es. film)
L'esperienza di assistere ad una prima visione in una sala cinematografica non può essere sostituita neanche da un buon sistema home-theatre: per questa ragione il mercato del cinema non sta soffrendo come quello della musica. Tuttavia il mercato dei DVD originali ha gli stessi limiti e difetti di quello dei CD musicali, e sta andando incontro allo stesso destino. Soltanto la dimensione decisamente superiore di un DVD sta limitando la diffusione del peer-to-peer, ma chiaramente questo limite è destinato ad essere superato col crescere della diffusione della larga banda e della tecnologia. Se i prezzi dei DVD si assesteranno su livelli più ragionevoli, sarà spesso preferito acquistare un DVD originale per farsi la propria videoteca.

Testi (es. libro).
Un file non può certo sostituire il piacere di leggere il libro originale. Questo mercato non è destinato ad andare in sofferenza. I giornali e le riviste, invece, si stanno già adeguando per sfruttare i vantaggi offerti dalla distribuzione on-line dei contenuti agli abbonati. Sono nate riviste specializzate che non avrebbero mai visto la luce se si fossero dovute affidare soltanto alla distribuzione tradizionale.

Dati (es. banche dati)
Il valore di una banca dati è dato dall'aggiornamento dei suoi dati. Questo mercato vede in Internet una grande opportunità, non certo una minaccia.

Software (es. programmi applicativi)
I software protetti da copyright, rilasciati con l'acquisto di una licenza d'uso, sono minacciati dall'impiego dei sistemi peer-to-peer.
Anche per questi "contenuti" valgono le considerazioni fatte per i CD audio: il modello di business è obsoleto, l'affermazione delle licenze GPL e della concorrenza opensource è lì a dimostrarlo,
anche se ci sarà sempre spazio per programmi di buona qualità ed a basso costo.

giovedì, settembre 20, 2007

Il programma del Centrosinistra

Sono allibito. Parole di Andrea Polito (Ulivo) ospite da Santoro:
"Ma sai, il programma.... sai da quante parti lo puoi tirare quel programma?" Sotto il baffetto, il sorriso benevolo che normalmente si rivolge agli ingenui quando gli si spiega qualcosa che essi faticano a comprendere senza dar loro l'impressione di offenderli.
Per completare il proprio pensiero, il disgraziato ha poi aggiunto: "E' impossibile applicare tutto che sono 280 pagine.", mentre una voce in sottofondo (quella di Giovanni Sartori?) commentava: "sono 300 pagine, fa ridere".
Marco Travaglio, presente, è trasalito, e ha chiesto a Polito se si rende conto di avere ammesso che il Centrosinistra così facendo ha preso in giro i suoi elettori.
Allo scandalo di quella puntata, si aggiunge lo scandalo ripetuto nei giorni successivi, in cui nessun notiziario, nessun giornale, ha richiamato la notizia, nessuno ha gridato allo scandalo, e nessuno nel Centrosinistra ha pensato minimamente di smentire il Senatore Polito.

domenica, settembre 09, 2007

V-Day: la reazione dei nostri "politici".


"Atteggiamento di disinteresse verso la politica e di prevenuto giudizio negativo nei confronti delle istituzioni pubbliche."
Questa è la definizione che dà il Sabatini-Coletti del lemma qualunquismo. E a proposito di qualunquista recita:
"Chi mostra un atteggiamento pregiudizialmente e indistintamente polemico e critico nei confronti delle ideologie politiche e delle istituzioni pubbliche."
Per quale ragione, allora, molti esponenti della politica italiana si sono affrettati a liquidare come qualunquista il fenomeno V-Day organizzato da Beppe Grillo?
Proprio un forte interesse per la res-publica ha spinto i sostenitori della proposta di legge di iniziativa popolare a mettersi in fila per lasciare la propria firma: non di disinteresse si può accusare queste persone.
Allora forse l'indizio riscontrato è un prevenuto giudizio negativo nei confronti delle istituzioni. Ma qui non si è trattato di cattiva opinione delle istituzioni, bensì della loro difesa da una degenerazione della politica tutta italiana. Ed è una difesa che viene esercitata con tanto di proposta di legge, altro che scarso interesse. Verrebbe da pensare, a voler essere maligni, che l'iniziativa popolare sia considerata come indizio di qualunquismo...
Resta ancora l'atteggiamento pregiudizialmente e indistintamente polemico e critico nei confronti delle ideologie politiche e delle istituzioni pubbliche, di cui alla seconda definizione del dizionario. Ma "pregiudiziale" è aggettivo che si riferisce ad una fase che precede il giudizio nel pensiero umano: qui ciò che ha spinto tanta gente a riconoscersi nella denuncia di Grillo e che ha generato una tale affluenza di cittadini è un giudizio molto ben formato nella testa di queste persone, ed è un giudizio fortemente negativo nei confronti del sistema politico italiano. Non un preconcetto, ma un'opinione molto ben vagliata e altrettanto chiara.

Dove è stato ravvisato allora questo qualunquismo, col quale è stato bollato il fenomeno dell'otto settembre nelle piazze italiane? All'analisi del dizionario della lingua italiana l'aggettivo risulta inappropriato, ed il giudizio risulta falso. Di più: esso è anche offensivo.
Non c'è la minima traccia di qualunquismo nel V-Day. Assai sospetto è, invece, il giudizio dato dai politici - esso sì, pregiudiziale.
Un movimento di persone polimorfo, complesso, dinamico, non intercettabile con le solite sigle obsolete, non polarizzato dai soliti slogan usurati, non implotonato dietro le solite bandiere ed i consueti simboli della politica italiana, ma vivo e mutevole come il web da cui scaturisce, ha colto di sorpresa i professionisti della partitocrazia, incapaci di parlarne perfino la lingua, ma perfettamente in grado di comprenderne la pericolosità. A questo minaccioso mostro popolare destinato a tendere nuovi agguati ai loro sconsiderati privilegi bipartisan ed alla loro disgraziata autoreferenzialità, i nostri politici vogliono fare terra bruciata intorno: nell'impossibilità di affibbiare ad esso le solite etichette vetero-ideologiche di destra e sinistra, fascista e comunista, ecco che la condanna è affidata ad un aggettivo che insieme annienta il valore politico del nuovo movimento e offende le intelligenze di tanti: qualunquista. Questa è la categoria dentro cui si intende ridurre d'ora in avanti la battaglia contro il malcostume politico italiano.

martedì, agosto 28, 2007

Per Nic.

C'è stato un tempo del nostro passato in cui tutto era un gioco e un soldatino di plastica su una mattonella dello sgabuzzino riusciva a diventare un eroe in battaglia dentro un labirinto nemico.
Credo di essere stato un bambino felice, perchè ho sempre avuto accanto a me un compagno di giochi, un altro bambino sempre pronto a condividere l'avventura, che fosse un rally nell'aiuola, oppure una lotta tra pescherecci, oppure uno scontro spaziale tra micronauti.
Ritornerei a quell'epoca subito, se fosse possibile cristallizzare la vita in quella casa ed in quel giardino.
Ricordo che ad un certo punto abbiamo cominciato a crescere: è stato un giorno che i nostri giochi si sono interrotti improvvisamente. Soltanto per poco tempo, ma quel poco che è bastato a segnare il momento della crescita. Dopo, tutto è stato più difficile, anche il gioco.
Questo regalo è un mio portafortuna per tornare entrambi un attimo a quel momento, rimuovendo quel dolore e quel rancore infantili. E ricominciare a vivere per gioco, con la felicità di quei giorni.

sabato, luglio 21, 2007

Mano tesa ad Hamas - un aiuto per la pace?


Le dichiarazioni del nostro Ministro degli Esteri sul dialogo con Hamas hanno suscitato le prevedibili polemiche. E' materia che accende gli animi, in un Paese - l'Italia - in cui, purtroppo, le opinioni sono fortemente polarizzate da residui di ideologia che confondono le acque, laddove ci sarebbe bisogno di informazione corretta per illuminare le menti.
Personalmente, ritengo molto utile tenere ben presenti i fatti che si sono registrati in Palestina negli ultimi due anni, e partire da questi fatti per comprendere le polemiche nostrane. I più accorti potrebbero anche arrivare a crearsi un giudizio definitivo sulla scelta di D'Alema di far prendere all'Italia questa posizione filo-Hamas e - inutile nasconderlo - anti-israeliana. Posizione che, ci piaccia o no, è destinata ad avere un peso sul processo di pace in quel martoriato Medio Oriente che, a parole, tanto ci sta a cuore.
Per una sintesi dei fatti segnalo una voce di Wikipedia.it dedicata all'argomento.
Dunque, Hamas ha vinto le elezioni del gennaio 2006, e questo è un fatto innegabile. Ma Hamas è anche un movimento politico che pratica attivamente il terrorismo (cioè spinge suoi giovani adepti a farsi esplodere in mezzo a scuole e supermercati per farne macellerie): come tale è ufficialmente riconosciuto anche dall'Unione Europea.
Occorre registrare quindi che in Palestina si è verificato l'inauspicabile evento di avere una maggioranza politica democraticamente determinata ma costituita da un movimento politico terrorista. La comunità internazionale - UE, USA in testa - all'indomani delle elezioni ha posto ad Hamas tre ovvie condizioni per continuare l'elargizione di aiuti finanziari all'Autorià Nazionale Palestinese:
- riconoscere Israele;
- rinunciare alla lotta armata;
- mantenere fede agli impegni presi dalla precedente amministrazione dell'ANP (Accordi di Oslo).
E' utile rammentare che malauguratamente Hamas ha respinto tutte le condizioni e, se oggi il suo governo - insediatosi a febbraio del 2006 all'indomani del successo elettorale - ha soldi a sufficienza per gestire i servizi elementari della pubblica amministrazione questo lo deve alla generosità, certamente interessata, di Paesi come Iran e Siria.
Stando così le cose, non credo che si possa dire che la Comunità Internazionale non abbia voluto riconoscere il risultato delle elezioni, almeno non mantenendo la buona fede.
Si deve poi registrare che questa situazione, in cui alla nuova maggioranza è venuto meno l'appoggio internazionale, ha fatto sì che si sia creata una frattura nell'esercizio del potere all'interno dell'ANP, con i due partiti più rappresentativi del popolo palestinese contrapposti: Fatah e Hamas.
Il Presidente dell'ANP , Abu Mazen, ha continuato ad essere il depositario della fiducia della Comunità Internazionale, e si è trovato a gestire una crisi di credibilità che ostacola grandemente l'avanzamento del Processo di Pace.
Il resto è storia: Hamas e Fatah hanno iniziato a combattere una sanguinosa guerra civile che perdura tuttora, portando Abu Mazen a sciogliere il governo ed a programmare elezioni anticipate, constatata l'ingovernabilità del Paese, o l'incapacità della nuova maggioranza a governare.
Come dargli torto? Naturalmente Hamas ha mostrato le armi, e la faccenda è ancora aperta.
Adesso mi domando: la presa di posizione dell'Italia a fianco di Hamas giova ad Abu Mazen?
Giova al Processo di Pace, al rispetto degli Accordi di Oslo?
Siamo veramente disposti a venire a patti con un movimento terrorista come Hamas che, seppure uscito vincente dalla tornata elettorale, ha mostrato disprezzo del Processo di Pace esibendosi in una becera retorica fondamentalista a discapito del proprio popolo stesso?
Ricordiamoci che la democrazia ha un solo vantaggio rispetto ad altre forme di accesso al potere: essa non permette di scegliere il potere migliore; permette di sostituire quello che si dimostra inadeguato. Hamas si è dimostrata inadeguata, e noi tutti - Ministro degli Esteri in testa - dovremmo prenderne atto.

giovedì, maggio 17, 2007

Considerazioni dopo il Family Day

Dico Sì, Dico no, Dico forse... Capiterà anche a voi di riconoscere parte della ragione e parte del torto su tutta la questione (dai Pacs in poi perlomeno) all'una e all'altra parte.Sarebbe curioso sapere: se avessero esplicitamente escluso le coppie omosessuali dal testo di legge, quanti avrebbero avuto un'opinione diversa sui Dico?Qualcuno ha fatto un sondaggio del genere? Se si segnalatemelo per favore perchè sono molto curioso.Molti avrebbero avuto poco da obiettare alla proposta sui diritti dei conviventi se fosse stata limitata alle coppie eterosessuali di fatto. Almeno questa è la mia impressione.Allora occorrerebbe trarne alcune conseguenti considerazioni. La questione dei Dico è stata mal posta - la società italiana, provocata dagli aspri dibattiti sui Pacs, non è pronta ad accettare una legge che pone sullo stesso piano le tradizionali coppie eterosessuali e le coppie formate da omosessuali. L'equiparazione sul testo di legge non è stata fatta a caso: appare evidente che l'intenzione di chi propone il provvedimento (e dei gruppi politici promotori) è quella di ottenere più diritti per gli omosessuali conviventi, "vestendo" l'iniziativa con una proposta di allargamento dei diritti per tutti i conviventi. Il risultato, abbastanza scontato, è stato quello di presentare la legge sui Dico come una specie di cavallo di Troia gay.Trovo personalmente inaccettabile che una questione certamente seria sia stata affrontata in questo modo, e mi chiedo quale altro risultato si aspettassero i promotori.Tuttavia, tra gli scontenti, leggo solo proteste verso la Chiesa o il bigottismo dei Cattolici, e nessun accenno di rimprovero verso il governo e la sua maggioranza per il modo maldestro con cui ha prima impostato il dibattito in Parlamento e poi trasferito in modo ancora più grottesco nelle piazze italiane.

martedì, maggio 01, 2007

Lì dove nasce la nostra concezione della scienza.



Cito alcuni passaggi di pregio da uno dei principali studiosi di storia della filosofia e del pensiero scientifico in Europa: seppure brevi, sintetizzano con grande efficacia alcuni concetti che dovremmo tenere ben presenti quando riflettiamo sullo stato della conoscenza oggi.
Negli scritti degli artisti e degli sperimentatori del Quattrocento e poi nei trattati di ingegneria mineraria, di arte della navigazione, di balistica, di arte delle fortificazioni del secolo successivo, [...] si afferma anche l'immagine della scienza come costruzione progressiva e come una serie di risultati che si collocano, l'uno dopo l'altro, ad un livello di complessità o di "perfezione" sempre maggiore.
[...] il sapere dei tecnici si costituisce come una grande alternativa storica al sapere dei maghi e all'ideale di sapienza che è caratteristico della tradizione ermetica.
Filosofi come Bacone, Cartesio, Boyle porteranno al livello della conspevolezza filosofica - inserendole in contesti teorici di grande rilievo - idee che erano nate in ambienti non filosofici, ambienti considerati con ostilità, quando addirittura non con disprezzo, dalla cultura che si esprimeva nelle università.

Nel XV secolo, quindi, emergeva una conoscenza diffusa tra artigiani e artisti di tipo manuale e non strutturata, assolutamente non ufficiale e completamente avulsa dal mondo delle dottrine ritenute degne. La scienza come la conosciamo oggi, ha avuto la sua prima origine dal basso, affermandosi nonostante (anzi addirittura contro) una cultura - quella medievale - che riconosceva esclusivamente una sapienza iniziatica, riservata a pochi eletti, costituita da riti, magie ed alchimie.
Senza gli stimoli provenienti dalle arti pratiche, i grandi filosofi che hanno saputo organizzare questa conoscenza e gettare le basi del sapere scientifico, avrebbero avuto molte più difficoltà a costruire gli edifici filosofici che avrebbero costituito la nervatura del sapere umano nei secoli a venire.


Citazioni da Paolo Rossi - I meccanici, gli ingegneri, l'idea di progresso.
In Storia della Scienza, vol. I.

giovedì, aprile 19, 2007

La necessità di un nuovo Umanesimo.


La rivoluzione scientifica è storicamente collocabile tra il XVI ed il XVII secolo, e sarà seguita dal "secolo dei lumi" - il XVIII - in cui la consacrazione del sapere scientifico è definitiva.
Oggi facciamo fatica a rappresentarci quanto deve essere stato intricato e laborioso il cammino delle idee che hanno portato al primato della scienza modernamente intesa sul complesso delle superstizioni, degli occultismi, degli ermetismi, degli alchimismi e delle magie del medioevo.
Sappiamo anche che, a tutti questi -ismi va sommato l'atteggiamento oscurantista e apertamente ostile della Chiesa cattolica, spesso degenerata in aperta e arbitraria violenza che non verrà mai sufficientemente condannata.
Mi pare, a volte, che nel nostro tempo si sia creata una situazione opposta ma ugualmente degenere: quella di una cieca fiducia verso qualunque informazione che venga anche semplicemente circondata da un'aura di scientificità.
Il rigore del metodo scientifico si è affermato lentamente contro un'antichissima concezione sacerdotale del sapere, e questa è indubitabilmente stata una delle principali conquiste nella storia dell'uomo.
Oggi, però, a volte mi pare che la fede nella magia e nel sovrannaturale, di cui ci si è faticosamente liberati, sia stata sostituita da un credito altrettanto fideistico verso qualunque asserzione che possa vantare una, seppure indiretta, relazione con la scienza.
Non secondario deve essere il ruolo della distorsione operata dai mezzi di comunicazione di massa.
La mia formazione è scientifica, quindi certo non intendo condannare i metodi scientifici o sminuirne le conquiste. Tuttavia spesso penso che l'ideale di "progresso", e di "progresso scientifico" in particolare, non deve condurre ad una società interamente protesa nello sforzo di realizzare tali "progressi", come se in quelle realizzazioni si esaurisse la ragione stessa di essere uomini.
Credo che ci sia bisogno oggi di un nuovo Umanesimo, che riporti l'uomo al centro della società e sostituisca la fede nello sviluppo con la fede nell'uomo, la ricerca del progresso con la ricerca della felicità e di una degna condizione umana. La scienza dovrebbe sempre essere strumentale a questa condizione. L'ideale di "progresso", con le sue ovvie declinazioni di "sviluppo" (scientifico, economico, etc) e di "crescita" devono essere rivisti alla luce di una nuova centralità dell'uomo.

martedì, aprile 03, 2007

DRM: è suonata la ritirata?


Il 2 aprile 2007 potrebbe essere una data da segnare sul calendario.
La EMI - prima tra le major - e la Apple hanno siglato un accordo secondo cui gli iTunes Store potranno vendere la musica della scuderia EMI (con qualche eccezione) sul web senza gli odiosi DRM: un brano scaricato via iTunes potrà essere ascoltato su qualunque dispositivo per la riproduzione di file musicali.
Ne avevo parlato un anno fa (DRM un anacronismo), e poi quando uscì la ormai famosa lettera aperta di Steve Jobs (Steve Jobs - i DRM sono un fallimento).
C'è da scommettere che presto anche altre case discografiche si adegueranno.
Anche se questo non ferma i problemi che la Apple ha con l'Unione Europea - iTunes tratta diversamente i propri clienti a seconda del Paese di residenza, cosa inaccettabile ed incompatibile con il mercato unico - è comunque una pietra miliare nell'ormai inevitabile trasformazione del mercato della distribuzione di contenuti digitali protetti da diritto d'autore.

lunedì, marzo 26, 2007

Una società egualitaria: un'utopia?


Si.
Tutte le volte che in una società umana si è aperto un vuoto di potere è stato colmato da qualche ente o persona quasi immediatamente. A voler trarre delle conclusioni, parrebbe che qualunque società umana si autorganizza per riempire il vuoto di potere. Il giacobinismo prima ed il comunismo poi hanno fatto dell'uguaglianza un messaggio rivoluzionario che ha profondamente trasformato le rispettive società, ma la disuguaglianza, l'ingiustizia, le differenze hanno puntualmente ripreso piede nelle nuove organizzazioni, solo trasformate nell'aspetto per riflettere le caratteristiche delle rinnovate società.
Queste rivoluzioni hanno trasformato la società per re-impiantare reti sociali ancora caratterizzate dalla presenza di "hub" di vario peso. Un "hub" è pur sempre un centro di potere.
Allora i centri del potere non possono rimanere disabitati, perchè la società stessa lo impedisce.

Se pensiamo la società come un'organismo dotato di propria consapevolezza, questo non ci stupisce: in qualunque organismo superiore esistono dei meccanismi che rimediano a situazioni altamente sfavorevoli per la sopravvivenza dell'organismo stesso. Si potrebbero citare centinaia di esempi tratti dal mondo vivente. Smantellato un "hub" pre-esistente per effetto di una rivoluzione, un nuovo "hub" compare per re-interpretare il ruolo del primo. Anzi, è verosimile che il nuovo "hub" fosse già esistente, e che la rivoluzione non sia altro che la manifestazione della lotta fra il nuovo arrivato ed il pre-esistente, tra il "sovversivo" ed il "conservatore".
La questione diventa allora indipendente dalla natura degli uomini, e dalle loro virtù e debolezze: i termini corretti del problema sono da ricercare nell'organizzazione dei sistemi complessi, dei sistemi "viventi", dei sistemi adattativi, delle popolazioni di individui cooperanti. Questi meccanismi potrebbero essere comuni a molte classi di questi sistemi, forse addirittura esistono caratteristiche universali, cui le società umane non possono sottrarsi neanche volendolo.

Se questo è vero, come penso, allora una società in cui tutti gli individui sono uguali è una pura utopia, e lo stato di totale uguaglianza dei membri è privo di qualunque utilità. Anzi è disutile e non auspicabile. Mentre auspicabile è comprendere appieno questi meccanismi, per trasferire questa conoscenza nei sistemi politici, in modo che essi si adattino alle caratteristiche "strutturali" delle società umane, a vantaggio della prosperità e del benessere degli individui.

martedì, febbraio 27, 2007

Pensare il pensiero.




Ho sviluppato una naturale diffidenza verso le nuove teorie che si affacciano agli onori della ribalta, perchè alcune di quelle "certezze matematiche" o "scientifiche" che ho visto in 35 anni di vita si sono capovolte improvvisamente rivelando la propria inconsistenza.
Credo che sia un bene. Mi sono abituato a pensare alla conoscenza come un processo vitale, che oggi è di moda chiamare "cognizione". E vita e mutazione camminano a braccetto, quindi non mi stupisce che quello che oggi è dato per sicuro e scientificamente provato, domani può essere rivisto e radicalmente reinterpretato alla luce di una nuova teoria. Spesso questo succede mantenendo la compatibilità verso il basso: la vecchia certezza rientra nella nuova come uno suo sottoinsieme, ma il significato generale e le considerazioni filosofiche che erano discese dalla prima sono radicalmente sovvertite. Tutto ciò qualcuno lo chiama "rivoluzione" ed ha voluto vedere - non senza ragione - anche nella storia della scienza e del pensiero scientifico un susseguirsi di rivoluzioni che qualcosa ha a che vedere con la teoria delle catastrofi.
Questo lungo cappello introduttivo avrà sicuramente distolto l'attenzione del mio improbabile lettore, ma ha giovato a me per creare le condizioni per la scrittura di questo post.
La mia riflessione odierna riguarda il pensiero. Non il pensiero scientifico, ma il pensiero umano.
Non riesco a scindere la parte ontologica da quella espistemologica: la natura del pensiero umano sono io stesso che ne scrivo, ed è paradossalmente circolare che il pensiero umano cerchi di descrivere sè stesso. Perciò proviamo una vertigine quando ci imbarchiamo in discorsi di questo tipo. Inoltre, lo strumento che uso per conoscere la natura di qualcosa è il pensiero. Quindi il mezzo attraverso cui mi accingo ad esplorare la natura del pensiero è il pensiero stesso oggetto della mia indagine. Ricordando che io che conduco l'indagine sono il pensiero stesso, che è anche oggetto dell'indagine, ecco che il quadro è completo e presenta la stessa coerenza di un disegno di M.C. Escher. Inutili considerazioni finora, ma divertenti, e che spero abbiano il pregio di rendere l'idea del disagio che ognuno ha quando filosoficamente presta attenzione all'essenza ultima della realtà intorno a noi. Qualcuno, incamminatosi per questa strada, per restare coerente col prorio ragionamento ha dovuto concludere che una realtà ultima non esiste e che tutto ciò che conosciamo è la proiezione ed elaborazione interiore di una percezione individuale, e che la rappresentazione del mondo attiene alla sfera della soggettività. Quindi, il mondo in cui vivo io è certamente diverso dal mondo in cui vivi tu - se si dà per scontato che la gamma e la unicità delle risposte sensoriali del mio organismo sono diverse da quelle del tuo. (Humberto Maturana e Francisco Varela).

Eppure oggi un modello che ci aiuta a riflettere sulla natura del pensiero umano c'è.
E' ormai matura e sperimentalmente confortata dalle neuroscienze l'ipotesi che il pensiero sia una espressione delle proprietà emergenti dalla complessissima organizzazione dei neuroni che compongono il cervello ed il sistema nervoso. Questa articolatissima rete di collegamenti intercellulari copre l'intero organismo e raccoglie stimoli di varia natura provenienti dall'ambiente esterno (vista, udito, ma anche umidità, temperatura, elettricità statica) e da quello interno (pressione arteriosa, livelli di biossido di carbonio, adrenalina, etc.), nonchè dalle configurazioni pre-esistenti che affiorano in presenza di determinati presupposti (ad esempio ciò che comunemente chiamiamo ricordi e memoria).
La prima proprietà affiorante da una tale organizzazione, forse la più primordiale, è quella dell'autoconsapevolezza, o coscienza, o ancora io. Il senso dell'io nasce come differenza rispetto a tutto quanto è percepito come esterno. La stretta relazione tra sistema neuro-cerebrale e corpo estende direi automaticamente la consapevolezza di sè a tutto il corpo.
La percezione di sè è forse l'espressione più arcana del pensiero, e insieme la più affascinante e misteriosa.
L'insieme delle attività che consentono al sè di differenziarsi dal resto del mondo è chiamata cognizione, in quanto differenziando essa consente di "conoscere" il mondo. La cognizione è un'attività continua che inizia e finisce con l'individuo, per cui è facile concludere che essa stessa è l'individuo. Qualcuno ha dato ad essa il nome di "mente", per cui mente e cognizione si troverebbero ad essere sinonimi.
Non è difficile arrivati a questo punto riconoscere in quello che noi chiamiamo "pensiero" la sequenza di momenti diversi (o evoluzione) nella dinamica della mente.

Un modello ormai accettato di sistema complesso e adattativo, quello di rete neurale, consente dunque di abbozzare un'idea di modello per il pensiero umano. Anzi, per il pensiero in generale, visto che sotto questa luce l'attività cognitiva non è appannaggio della sola specie umana ma appartiene quantomeno a tutti gli animali cosiddetti superiori.
Viviamo in un'epoca in cui per la prima volta gli sforzi epistemologici ed ontologici della filosofia trovano il supporto delle teorie scientifiche e matematiche che derivano dalle scienze applicate e dalla teoria dei sistemi dinamici, che hanno consentito l'elaborazione di un modello interpretativo del pensiero e della mente.
Un semplice modello, che spero non venga celebrato come una verità scientifica su cui rimodulare la concenzione della vita e dell'esistenza umana. D'altronde proprio dalle teorie della complessità abbiamo imparato - non senza sorpresa - che multiformità, varietà, irripetibilità e impredicibilità sono proprietà di alcune classi di sistemi dinamici che non possiamo non considerare "semplici" quando confrontati con i sistemi viventi. Non abbiamo dunque fretta di "universalizzare" delle conclusioni che restano per il momento valide solo in ambiti ristretti della ricerca. Ma allo stesso modo non abbiamo paura di re-interpretare la parte più intima di noi stessi - il nostro io, il nostro pensiero - secondo modelli nuovi che, forse, potrebbero portarci lontano, e che certamente non devono essere respinti per pregiudizi ideologici o religiosi, o per paura di violare una sacra concezione di noi, che vede il nostro io associato alla nostra anima.

sabato, febbraio 10, 2007

Steve Jobs: i DRM sono un fallimento.

Ho sempre avuto simpatia per Apple e per i suoi due fondatori, visionari all'epoca degli Apple II e dei Mac e visionari ancora oggi, con alterne vicende e altalenanti fortune. Sia chiaro che per visionario intendo persona che ha percezione di realtà possibili ma non attuali, che è quindi attributo assolutamente positivo.
Ho già avuto modo di manifestare come la penso riguardo i Digital Rights Management systems che le grandi multinazionali del copyright - le case discografiche in testa a tutti - si affannano a promuovere ed a lanciare nella guerra senza speranza e senza futuro contro generazioni di utilizzatori di contenuti digitali che in tutto il mondo si affacciano ad Internet con diffusione crescente ed incontenibile. Senza fare filosofia - che pure in questo campo ha parecchia voce in capitolo - voglio oggi richiamare qui la lettera con cui Steve Jobs, a qualche anno dal lancio di iTunes e degli iPod, comunica il suo punto di vista sui DRM e rivolge un appello alle quattro case discografiche che da sole controllano il 70% del mercato della musica (Sony BMG, Universal, EMI e Warner) perchè rinuncino a questi sistemi. E con visionaria lucidità spiega le ragioni della inadeguatezza, inattualità, ineconomicità e miopia dei sistemi di protezione dei contenuti digitali (Lettera).

Argomenta Steve che della musica registrata su un qualunque iPod venduto nel mondo soltanto il 3% in media è stato scaricato da iTunes Store e quindi protetto con il sistema DRM utilizzato da Apple (FairPlay): tutto il resto è scaricato da altri siti o direttamente dai CD o comunque copiato. Se consideriamo che FairPlay è l'unico DRM supportato da iPod, ne consegue che il 97% della musica su un iPod non è protetta da nessun DRM, cioè non genera nessun corrispettivo per i diritti della casa discografica e dell'autore. Se consideriamo che iPod è il leader nel mercato dei riproduttori portatili di musica digitale dobbiamo serenamente concludere che, visto nell'ottica delle case discografiche, si tratta di un colossale fallimento dei DRM. Visto nell'ottica di Apple e dei produttori di questi dispositivi, è un successo, visto che solo gli iPod venduti nel mondo sono oltre 90 milioni.

Ma probabilmente alle grandi case discografiche non importa molto di questo fallimento, visto che il mercato della musica on-line per esse rappresenta soltanto meno del 10% della musica venduta (in termini di canzoni, forse meno del 3% in termini di fatturato). Il grosso del business queste società continuano a realizzarlo in modo tradizionale, attraverso la vendita di CD nei negozi di tutto il mondo. E la musica nei CD - che poi è quella che alimenta la musica cosiddetta "pirata" on-line - non è protetta da nessun sistema DRM. Un controsenso che si spiega soltanto con le leggi delle vendite. Quindi, l'imposizione di adottare sistemi DRM altamente affidabili che le grandi quattro esercitano verso i venditori di musica on-line serve soltanto ad arginare un fenomeno in grandissima crescita - quello della musica on-line, della diffusione peer-to-peer e della cosiddetta "pirateria musicale" - che la major riescono a vedere solo come una minaccia al proprio modello di business, evidentemente obsoleto, dando dimostrazione di una sorprendente incapacità a recepire i nuovi schemi che emergono dal mercato e di inattitudine all'innovazione. O, se non si vuole dubitare delle capacità dei manager di società talmente ricche del panorama mondiale, allora si insinua il dubbio che le major stiano facendo cartello contro un nemico nuovo contro cui non sanno assolutamente quali altre armi usare se non una demagogia del terrorismo contro l'orda di pirati che apocalitticamente avanzano tra le centinaia di milioni di utenti di Internet dietro cui, a ben guardare, c'è ciascuno di noi.

In questo scenario il messaggio di Steve Jobs è assolutamente benvenuto, non fosse altro che per la chiarezza con cui afferma che il sistema dei DRM è un fallimento e non funzionerà mai contro quella che viene infelicemente definita "pirateria musicale". E benvenuto è anche l'invito che rivolge alle major di adeguarsi al mercato emergente e anzi favorire la musica on-line che offre grandi potenzialità di crescita con importanti ritorni economici anche per le stesse case discografiche che detengono i cordoni dei diritti d'autore. E da uno sviluppo di questo mercato, con musica a prezzi più bassi e sistemi per l'acquisto on-line anche gli autori ne verrebbero garantiti. I diritti degli Artisti infatti non si tutelano con una nuova campagna di neo-proibizionismo su scala mondiale ma con il riconoscimento di un mercato che è ormai profondamente cambiato, andando incontro alle esigenze degli utilizzatori di musica che cercano portali di qualità da cui scaricare con sicurezza, affidabilità e velocità i brani preferiti a prezzi che siano accettabili. E pazienza se un pezzo del giro di affari dei CD va in frantumi: non ne risentiranno gli Autori e non ne risentiranno i Consumatori.
Altrimenti, se non si vuole fare così in tutela di un anacronistico cartello economico, per favore non permettetevi di chiamarci pirati.

sabato, gennaio 13, 2007

Simmetria e caos: la forma dei fiocchi di neve.


Per rispondere sinteticamente alla domanda che dà il titolo al suo libro, cito ancora Ian Stewart:

Equazioni di per sè prive di qualsiasi simmetria a volte danno origine ad una dinamica regolare e a volte al caos. Si è scoperto che questo è vero anche per le equazioni simmetriche. Se si modificano opportunamente i coefficienti numerici delle equazioni, si può ottenere una dinamica caotica che obbedisce a regole simmetriche. Un caos simmetrico. Che cosa fanno i sistemi di questo genere? La risposta più semplice si ottiene pensando alla reappresentazione geometrica e agli attrattori. Quel che si scopre [...] è che gli attrattori sono caotici (perchè lo sono le dinamiche) e simmetrici (perchè lo sono le regole).

Ian Stewart - Che forma ha un fiocco di neve?


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mercoledì, gennaio 03, 2007

La geometria del caos e la dinamica dei frattali.

Un titolo enigmatico, una frase che rappresenta una sorta di palindromo bifronte, concettualmente non letteralmente, perchè vuole mettere in luce la dualità che esiste tra i frattali ed il caos deterministico. Ancora una volta lo spunto è una citazione da un matematico attuale:
Seguendo la pratica matematica corrente e rappresentando la dinamica in termini geometrici, si mette bene a fuoco la sconcertante natura duale del caos.
Associato ad ogni sistema dinamico, vi è un suo proprio spazio geometrico, lo spazio delle fasi [...]. Nei sistemi caotici le linee di flusso (o traiettorie di stato), si dirigono verso forme complesse dette attrattori. [...] La geometria di questi attrattori combina il concetto di caos e quello di frattale.


Ian Stewart - Che forma ha un fiocco di neve?
La matematica del caos e la geometria dei frattali sono scoperte fondamentali del XX secolo, che hanno consentito la rivisitazione dei concetti fondamentali di molte branche della scienza - per non dire della conoscenza tutta - tanto da presentarsi oggi come la scintilla di innesco di una rivoluzione epistemologica tuttora in corso, di cui è ancora difficile comprendere la portata.
Concetti come caos e frattale, oggi astrusi ai più, dovrebbero diventare di base per chiunque desideri una chiave di lettura per questo nostro affascinante universo.

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Caos deterministico: il confine tra casualità e regole.

La meccanica statistica, cui Boltzmann ha dato un contributo fondamentale, ha permesso di comprendere i processi alla base del comportamento dei sistemi formati da grandi quantità di elementi - o particelle - interagenti, passaggio fondamentale per lo sviluppo di interi settori della fisica - termodinamica, dinamica dei gas, dinamica del plasma, meccanica quantistica -. Il prezzo da pagare è stato un tributo alla casualità.
Nessuno oggi mette in discussione la grande importanza della teoria della probabilità per spiegare i meccanismi fisici, ma tutti siamo consapevoli del contrasto tra il determinismo delle equazioni dinamiche - spesso innalzate al rango ambiguo e aberrante di "leggi della natura" - e la mera stima delle probabilità di eventi aleatori. Heisenberg, Godel, Prigogine: questi illustri studiosi, e molti altri, hanno fatto comprendere come quello statistico sia un metodo di indagine imprescindibile nella comprensione dei fenomeni e dei processi della natura e della vita. Tuttavia permane il senso di disagio, e - in alcuni casi - il disaccordo con l'intuito quando si tenta di leggere la natura con questi solo strumenti.
Ci vengono incontro le idee che scaturiscono dal caos deterministico per trovare una convergenza tra concetti che possono sembrare assai distanti tra loro:
Il caos è casualità apparente con una causa puramente deterministica. E' un comportamento sregolato governato per intero da regole. Il caos abita nella zona di penombra tra regolarità e casualità. [...] Per certi versi, nel caos vi è un'autentica casualità. In termini approssimativi, si può dire che le regole di un sistema caotico si attaccano alla microscopica casualità delle condizioni iniziali e la amplificano rendendola evidente nel comportamento su larga scala. La discussione viene resa più difficile da un problema filosofico: la vera casualità esiste davvero?

Ian Stewart - Che forma ha un fiocco di neve?

Forme e cognizione: le "leggi di natura".

Per chi avverte un certo imbarazzo quando sente dire che l'uomo ha scoperto le "leggi della natura", e che esse altro non sono che formule matematiche, la cui cruda aridità spesso appare all'intuito semplicemente inadeguata a suonare tutte le sinfonie dell'universo.

La mente umana va infaticabilmente alla ricerca di forme. Per poter sopravvivere in un mondo ostile, abbiamo sviluppato una sensibilità alle configurazioni, che usiamo per prevedere che cosa ci accadrà.
A volte [...] le configurazioni ci sono davvero e rivelano effettivamente verità importanti sull'universo. Le chiamiamo leggi di natura. E' di questo che si occupa la scienza, di portare alla luce le configurazioni segrete che fanno funzionare l'universo. Usare la matematica è per gli esseri umani il modo più efficace di riflettere sulle configurazioni. Ci siamo quindi convinti che le leggi di natura siano leggi matematiche.


Ian Stewart - Che forma ha un fiocco di neve?