sabato, febbraio 10, 2007

Steve Jobs: i DRM sono un fallimento.

Ho sempre avuto simpatia per Apple e per i suoi due fondatori, visionari all'epoca degli Apple II e dei Mac e visionari ancora oggi, con alterne vicende e altalenanti fortune. Sia chiaro che per visionario intendo persona che ha percezione di realtà possibili ma non attuali, che è quindi attributo assolutamente positivo.
Ho già avuto modo di manifestare come la penso riguardo i Digital Rights Management systems che le grandi multinazionali del copyright - le case discografiche in testa a tutti - si affannano a promuovere ed a lanciare nella guerra senza speranza e senza futuro contro generazioni di utilizzatori di contenuti digitali che in tutto il mondo si affacciano ad Internet con diffusione crescente ed incontenibile. Senza fare filosofia - che pure in questo campo ha parecchia voce in capitolo - voglio oggi richiamare qui la lettera con cui Steve Jobs, a qualche anno dal lancio di iTunes e degli iPod, comunica il suo punto di vista sui DRM e rivolge un appello alle quattro case discografiche che da sole controllano il 70% del mercato della musica (Sony BMG, Universal, EMI e Warner) perchè rinuncino a questi sistemi. E con visionaria lucidità spiega le ragioni della inadeguatezza, inattualità, ineconomicità e miopia dei sistemi di protezione dei contenuti digitali (Lettera).

Argomenta Steve che della musica registrata su un qualunque iPod venduto nel mondo soltanto il 3% in media è stato scaricato da iTunes Store e quindi protetto con il sistema DRM utilizzato da Apple (FairPlay): tutto il resto è scaricato da altri siti o direttamente dai CD o comunque copiato. Se consideriamo che FairPlay è l'unico DRM supportato da iPod, ne consegue che il 97% della musica su un iPod non è protetta da nessun DRM, cioè non genera nessun corrispettivo per i diritti della casa discografica e dell'autore. Se consideriamo che iPod è il leader nel mercato dei riproduttori portatili di musica digitale dobbiamo serenamente concludere che, visto nell'ottica delle case discografiche, si tratta di un colossale fallimento dei DRM. Visto nell'ottica di Apple e dei produttori di questi dispositivi, è un successo, visto che solo gli iPod venduti nel mondo sono oltre 90 milioni.

Ma probabilmente alle grandi case discografiche non importa molto di questo fallimento, visto che il mercato della musica on-line per esse rappresenta soltanto meno del 10% della musica venduta (in termini di canzoni, forse meno del 3% in termini di fatturato). Il grosso del business queste società continuano a realizzarlo in modo tradizionale, attraverso la vendita di CD nei negozi di tutto il mondo. E la musica nei CD - che poi è quella che alimenta la musica cosiddetta "pirata" on-line - non è protetta da nessun sistema DRM. Un controsenso che si spiega soltanto con le leggi delle vendite. Quindi, l'imposizione di adottare sistemi DRM altamente affidabili che le grandi quattro esercitano verso i venditori di musica on-line serve soltanto ad arginare un fenomeno in grandissima crescita - quello della musica on-line, della diffusione peer-to-peer e della cosiddetta "pirateria musicale" - che la major riescono a vedere solo come una minaccia al proprio modello di business, evidentemente obsoleto, dando dimostrazione di una sorprendente incapacità a recepire i nuovi schemi che emergono dal mercato e di inattitudine all'innovazione. O, se non si vuole dubitare delle capacità dei manager di società talmente ricche del panorama mondiale, allora si insinua il dubbio che le major stiano facendo cartello contro un nemico nuovo contro cui non sanno assolutamente quali altre armi usare se non una demagogia del terrorismo contro l'orda di pirati che apocalitticamente avanzano tra le centinaia di milioni di utenti di Internet dietro cui, a ben guardare, c'è ciascuno di noi.

In questo scenario il messaggio di Steve Jobs è assolutamente benvenuto, non fosse altro che per la chiarezza con cui afferma che il sistema dei DRM è un fallimento e non funzionerà mai contro quella che viene infelicemente definita "pirateria musicale". E benvenuto è anche l'invito che rivolge alle major di adeguarsi al mercato emergente e anzi favorire la musica on-line che offre grandi potenzialità di crescita con importanti ritorni economici anche per le stesse case discografiche che detengono i cordoni dei diritti d'autore. E da uno sviluppo di questo mercato, con musica a prezzi più bassi e sistemi per l'acquisto on-line anche gli autori ne verrebbero garantiti. I diritti degli Artisti infatti non si tutelano con una nuova campagna di neo-proibizionismo su scala mondiale ma con il riconoscimento di un mercato che è ormai profondamente cambiato, andando incontro alle esigenze degli utilizzatori di musica che cercano portali di qualità da cui scaricare con sicurezza, affidabilità e velocità i brani preferiti a prezzi che siano accettabili. E pazienza se un pezzo del giro di affari dei CD va in frantumi: non ne risentiranno gli Autori e non ne risentiranno i Consumatori.
Altrimenti, se non si vuole fare così in tutela di un anacronistico cartello economico, per favore non permettetevi di chiamarci pirati.

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