martedì, febbraio 27, 2007

Pensare il pensiero.




Ho sviluppato una naturale diffidenza verso le nuove teorie che si affacciano agli onori della ribalta, perchè alcune di quelle "certezze matematiche" o "scientifiche" che ho visto in 35 anni di vita si sono capovolte improvvisamente rivelando la propria inconsistenza.
Credo che sia un bene. Mi sono abituato a pensare alla conoscenza come un processo vitale, che oggi è di moda chiamare "cognizione". E vita e mutazione camminano a braccetto, quindi non mi stupisce che quello che oggi è dato per sicuro e scientificamente provato, domani può essere rivisto e radicalmente reinterpretato alla luce di una nuova teoria. Spesso questo succede mantenendo la compatibilità verso il basso: la vecchia certezza rientra nella nuova come uno suo sottoinsieme, ma il significato generale e le considerazioni filosofiche che erano discese dalla prima sono radicalmente sovvertite. Tutto ciò qualcuno lo chiama "rivoluzione" ed ha voluto vedere - non senza ragione - anche nella storia della scienza e del pensiero scientifico un susseguirsi di rivoluzioni che qualcosa ha a che vedere con la teoria delle catastrofi.
Questo lungo cappello introduttivo avrà sicuramente distolto l'attenzione del mio improbabile lettore, ma ha giovato a me per creare le condizioni per la scrittura di questo post.
La mia riflessione odierna riguarda il pensiero. Non il pensiero scientifico, ma il pensiero umano.
Non riesco a scindere la parte ontologica da quella espistemologica: la natura del pensiero umano sono io stesso che ne scrivo, ed è paradossalmente circolare che il pensiero umano cerchi di descrivere sè stesso. Perciò proviamo una vertigine quando ci imbarchiamo in discorsi di questo tipo. Inoltre, lo strumento che uso per conoscere la natura di qualcosa è il pensiero. Quindi il mezzo attraverso cui mi accingo ad esplorare la natura del pensiero è il pensiero stesso oggetto della mia indagine. Ricordando che io che conduco l'indagine sono il pensiero stesso, che è anche oggetto dell'indagine, ecco che il quadro è completo e presenta la stessa coerenza di un disegno di M.C. Escher. Inutili considerazioni finora, ma divertenti, e che spero abbiano il pregio di rendere l'idea del disagio che ognuno ha quando filosoficamente presta attenzione all'essenza ultima della realtà intorno a noi. Qualcuno, incamminatosi per questa strada, per restare coerente col prorio ragionamento ha dovuto concludere che una realtà ultima non esiste e che tutto ciò che conosciamo è la proiezione ed elaborazione interiore di una percezione individuale, e che la rappresentazione del mondo attiene alla sfera della soggettività. Quindi, il mondo in cui vivo io è certamente diverso dal mondo in cui vivi tu - se si dà per scontato che la gamma e la unicità delle risposte sensoriali del mio organismo sono diverse da quelle del tuo. (Humberto Maturana e Francisco Varela).

Eppure oggi un modello che ci aiuta a riflettere sulla natura del pensiero umano c'è.
E' ormai matura e sperimentalmente confortata dalle neuroscienze l'ipotesi che il pensiero sia una espressione delle proprietà emergenti dalla complessissima organizzazione dei neuroni che compongono il cervello ed il sistema nervoso. Questa articolatissima rete di collegamenti intercellulari copre l'intero organismo e raccoglie stimoli di varia natura provenienti dall'ambiente esterno (vista, udito, ma anche umidità, temperatura, elettricità statica) e da quello interno (pressione arteriosa, livelli di biossido di carbonio, adrenalina, etc.), nonchè dalle configurazioni pre-esistenti che affiorano in presenza di determinati presupposti (ad esempio ciò che comunemente chiamiamo ricordi e memoria).
La prima proprietà affiorante da una tale organizzazione, forse la più primordiale, è quella dell'autoconsapevolezza, o coscienza, o ancora io. Il senso dell'io nasce come differenza rispetto a tutto quanto è percepito come esterno. La stretta relazione tra sistema neuro-cerebrale e corpo estende direi automaticamente la consapevolezza di sè a tutto il corpo.
La percezione di sè è forse l'espressione più arcana del pensiero, e insieme la più affascinante e misteriosa.
L'insieme delle attività che consentono al sè di differenziarsi dal resto del mondo è chiamata cognizione, in quanto differenziando essa consente di "conoscere" il mondo. La cognizione è un'attività continua che inizia e finisce con l'individuo, per cui è facile concludere che essa stessa è l'individuo. Qualcuno ha dato ad essa il nome di "mente", per cui mente e cognizione si troverebbero ad essere sinonimi.
Non è difficile arrivati a questo punto riconoscere in quello che noi chiamiamo "pensiero" la sequenza di momenti diversi (o evoluzione) nella dinamica della mente.

Un modello ormai accettato di sistema complesso e adattativo, quello di rete neurale, consente dunque di abbozzare un'idea di modello per il pensiero umano. Anzi, per il pensiero in generale, visto che sotto questa luce l'attività cognitiva non è appannaggio della sola specie umana ma appartiene quantomeno a tutti gli animali cosiddetti superiori.
Viviamo in un'epoca in cui per la prima volta gli sforzi epistemologici ed ontologici della filosofia trovano il supporto delle teorie scientifiche e matematiche che derivano dalle scienze applicate e dalla teoria dei sistemi dinamici, che hanno consentito l'elaborazione di un modello interpretativo del pensiero e della mente.
Un semplice modello, che spero non venga celebrato come una verità scientifica su cui rimodulare la concenzione della vita e dell'esistenza umana. D'altronde proprio dalle teorie della complessità abbiamo imparato - non senza sorpresa - che multiformità, varietà, irripetibilità e impredicibilità sono proprietà di alcune classi di sistemi dinamici che non possiamo non considerare "semplici" quando confrontati con i sistemi viventi. Non abbiamo dunque fretta di "universalizzare" delle conclusioni che restano per il momento valide solo in ambiti ristretti della ricerca. Ma allo stesso modo non abbiamo paura di re-interpretare la parte più intima di noi stessi - il nostro io, il nostro pensiero - secondo modelli nuovi che, forse, potrebbero portarci lontano, e che certamente non devono essere respinti per pregiudizi ideologici o religiosi, o per paura di violare una sacra concezione di noi, che vede il nostro io associato alla nostra anima.

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