sabato, luglio 21, 2007

Mano tesa ad Hamas - un aiuto per la pace?


Le dichiarazioni del nostro Ministro degli Esteri sul dialogo con Hamas hanno suscitato le prevedibili polemiche. E' materia che accende gli animi, in un Paese - l'Italia - in cui, purtroppo, le opinioni sono fortemente polarizzate da residui di ideologia che confondono le acque, laddove ci sarebbe bisogno di informazione corretta per illuminare le menti.
Personalmente, ritengo molto utile tenere ben presenti i fatti che si sono registrati in Palestina negli ultimi due anni, e partire da questi fatti per comprendere le polemiche nostrane. I più accorti potrebbero anche arrivare a crearsi un giudizio definitivo sulla scelta di D'Alema di far prendere all'Italia questa posizione filo-Hamas e - inutile nasconderlo - anti-israeliana. Posizione che, ci piaccia o no, è destinata ad avere un peso sul processo di pace in quel martoriato Medio Oriente che, a parole, tanto ci sta a cuore.
Per una sintesi dei fatti segnalo una voce di Wikipedia.it dedicata all'argomento.
Dunque, Hamas ha vinto le elezioni del gennaio 2006, e questo è un fatto innegabile. Ma Hamas è anche un movimento politico che pratica attivamente il terrorismo (cioè spinge suoi giovani adepti a farsi esplodere in mezzo a scuole e supermercati per farne macellerie): come tale è ufficialmente riconosciuto anche dall'Unione Europea.
Occorre registrare quindi che in Palestina si è verificato l'inauspicabile evento di avere una maggioranza politica democraticamente determinata ma costituita da un movimento politico terrorista. La comunità internazionale - UE, USA in testa - all'indomani delle elezioni ha posto ad Hamas tre ovvie condizioni per continuare l'elargizione di aiuti finanziari all'Autorià Nazionale Palestinese:
- riconoscere Israele;
- rinunciare alla lotta armata;
- mantenere fede agli impegni presi dalla precedente amministrazione dell'ANP (Accordi di Oslo).
E' utile rammentare che malauguratamente Hamas ha respinto tutte le condizioni e, se oggi il suo governo - insediatosi a febbraio del 2006 all'indomani del successo elettorale - ha soldi a sufficienza per gestire i servizi elementari della pubblica amministrazione questo lo deve alla generosità, certamente interessata, di Paesi come Iran e Siria.
Stando così le cose, non credo che si possa dire che la Comunità Internazionale non abbia voluto riconoscere il risultato delle elezioni, almeno non mantenendo la buona fede.
Si deve poi registrare che questa situazione, in cui alla nuova maggioranza è venuto meno l'appoggio internazionale, ha fatto sì che si sia creata una frattura nell'esercizio del potere all'interno dell'ANP, con i due partiti più rappresentativi del popolo palestinese contrapposti: Fatah e Hamas.
Il Presidente dell'ANP , Abu Mazen, ha continuato ad essere il depositario della fiducia della Comunità Internazionale, e si è trovato a gestire una crisi di credibilità che ostacola grandemente l'avanzamento del Processo di Pace.
Il resto è storia: Hamas e Fatah hanno iniziato a combattere una sanguinosa guerra civile che perdura tuttora, portando Abu Mazen a sciogliere il governo ed a programmare elezioni anticipate, constatata l'ingovernabilità del Paese, o l'incapacità della nuova maggioranza a governare.
Come dargli torto? Naturalmente Hamas ha mostrato le armi, e la faccenda è ancora aperta.
Adesso mi domando: la presa di posizione dell'Italia a fianco di Hamas giova ad Abu Mazen?
Giova al Processo di Pace, al rispetto degli Accordi di Oslo?
Siamo veramente disposti a venire a patti con un movimento terrorista come Hamas che, seppure uscito vincente dalla tornata elettorale, ha mostrato disprezzo del Processo di Pace esibendosi in una becera retorica fondamentalista a discapito del proprio popolo stesso?
Ricordiamoci che la democrazia ha un solo vantaggio rispetto ad altre forme di accesso al potere: essa non permette di scegliere il potere migliore; permette di sostituire quello che si dimostra inadeguato. Hamas si è dimostrata inadeguata, e noi tutti - Ministro degli Esteri in testa - dovremmo prenderne atto.

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