lunedì, febbraio 02, 2009

L'evoluzione dietro le scene.


Sull'evoluzione, la natura è stata colta sul fatto: le prove a carico sono chiare e schiaccianti, e non lasciano spazio ad altre interpretazioni. Oltre ai fossili paleontologici, prova evidente delle diverse biosfere che hanno preceduto la nostra e delle differenti morfologie biologiche che divergono dalle attuali man mano che ci si allontana indietro nel tempo, anche la distribuzione geografica delle specie e lo studio dei codici genetici dimostra che i meccanismi di mutazione e ricombinazione del DNA hanno caratterizzato la progressiva trasformazione dei genomi specifici lungo un percorso di adattamento e ri-adattamento alle condizioni ambientali. Le conferme probabilmente definitive sono arrivate dalla biologia evolutiva dello sviluppo, nota anche come evo-devo, e la spiegazione di come lo sviluppo embrionale abbia verosimilmente influenzato i processi evolutivi dall'origine della vita sulla Terra fino a noi, conseguente alla scoperta che tutti gli animali, uomo compreso, discendono da un antenato comune semplice, con cui condividono un insieme di geni "master" che svolgono il ruolo di kit degli attrezzi per lo sviluppo dell'embrione in individuo adulto. Considerazioni che hanno portato il celebre biologo S.B. Carroll a concludere che "l'evoluzione consiste in gran parte nell'insegnare nuovi trucchi a vecchi geni!" - appunto geni vecchi centinaia di milioni di anni - e che è proprio nello sviluppo embrionale, vera e propria chiave per la compresione dei processi evolutivi, che si possono riscontrare le "pistole fumanti dell'evoluzione".
L'evoluzione è dunque prima di tutto un fenomeno della natura, come tale oggetto di osservazione e studio scientifico, ma ci sono domande fondamentali che attendono una risposta: è senz'altro vero che ad oggi non è chiaro quale sia stato l'impulso iniziale che ha dato origine all'evoluzione delle specie, quindi alla vita, nè è del tutto identificato in cosa consista il meccanismo evolutivo e perchè esso sia così diffuso. Ci sfugge, cioè, comprendere le ragioni del successo dell'evoluzione, ed i suoi meccanismi considerati globalmente. I risultati dell'evo-devo ci danno oggi conferma del ruolo del DNA nell'evoluzione, ma non ci spiegano ad esempio la selezione naturale, che deve essere considerata ad un livello superiore a quello in cui i processi genetici hanno luogo: a livello di ecosistema.
La comprensione dell'evoluzione nel senso più ampio richiede un necessario inquadramento di scala: se l'invenzione del kit degli attrezzi genetico per lo sviluppo della forma animale è stata una condizione necessaria per la biodiversità che oggi abbiamo davanti agli occhi, è solo a livello di ecosistema che possiamo meglio coglierne la dinamica. Allo stesso modo dobbiamo probabilmente modificare la nostra prospettiva di scala per comprendere come si è potuto arrivare dal cosiddetto "brodo primordiale" all'apparizione del codice genetico, condizione necessaria ma non sufficiente per la comparsa del suddetto toolkit.
La ricerca passa dunque dalla scala della biologia molecolare a quella, inferiore, della chimica e delle reazioni catalitiche, e ancora più giù alla scala delle interazioni fisiche, in virtù del fatto che i comportamenti attesi ad una scala sono connessi a quelli che avvengono a scale inferiori, i cui processi di crescita adattiva che, attraverso una o più transizioni di fase, conducono all'emergenza di comportamenti sistemici assai differenti ad una scala diversa. E' oggi noto che meccanismi di autorganizzazione di questo tipo sono tutt'altro che rari.
In fisica, le celle convettive di Bènard, la reazione di Belousov-Zhabotinsky, la condensazione di Bose-Einstein - cui sono legati fenomeni fisici oggetto di grande attenzione come la superconduttività, o che hanno conosciuto un ampio utilizzo nella tecnologia come il laser o l'effetto tunnel nelle giunzioni Josephson - o ancora le onde spiraliformi, sono tutti esempi che hanno a fattor comune il principio dell'autorganizzazione in sistemi lontani dall'equilibrio termodinamico, e che lasciano emergere comportamenti caratteristici a livello aggregato che non sono osservabili a livello individuale. Altrettanti esempi possiamo rintracciare in ambiti biologici, come il nodo senoatriale che governa il battito cardiaco, o anche la sincronia di lampeggiamento delle lucciole della Thailandia, per citare quelli forse più suggestivi.
Sembra, dunque, verosimile ritenere che l'autorganizzazione abbia giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione, in quel passaggio organizzativo dell'ambiente prebiotico che ha creato le condizioni perchè prendesse piede il processo evolutivo genetico. Se l'autorganizzazione che si instaura in un sistema fisico non può bastare da sola a spiegare l'insorgenza della vita, l'autorganizzazione in presenza di un meccanismo termodinamico che conduce un sistema molecolare fuori dall'equilibrio può avere innescato - anche più di una volta - un ciclo chimico (auto)catalitico che ha portato all'insorgenza di DNA. Per dirla con Stuart Kauffman: "l'autorganizzazione si mescola con la selezione naturale secondo modalità poco chiare e produce la nostra pullulante biosfera in tutto il suo splendore."
Qualcosa del genere deve essere avvenuto per dar luogo a quell'inesaurito effetto domino che ci accompagna tutti i giorni, e di cui anche noi siamo parte. Da quel momento in poi, certi aggregati molecolari hanno continuato a riprodursi, lontani dall'equilibrio termodinamico, e a selezionare strategie sempre nuove per la moltiplicazione, dando luogo nel tempo a membrane, cellule e batteri. A ciò aggiungiamo che è tutt'altro che bizzarro, oggi, ritenere che in un contesto caratterizzato da un'alta diversità molecolare, l'emergenza di sistemi molecolari autoriproduttivi sia una circostanza talmente probabile da apparire quasi inevitabile. E da una tale ineluttabilità può essere conseguito un mondo in cui milioni di specie si sono succedute nella creazione della sorprendente diversità che chiamiamo biosfera, che è certamente e provatamente stata preceduta da migliaia di biosfere scomparse, perchè sempre superate da nuove nella corsa del cambiamento evolutivo, nella continua esplorazione di nuove possibilità e generazione di nicchie ecologiche da sfruttare e popolare.
Le specie viventi non hanno colonizzato un mondo vergine, una specie di substrato passivo, un palcoscenico per la vita. Lo hanno letteralmente creato, costruito, assemblato. La biosfera in cui siamo immersi è emersa dall'ininterrotto cambiamento evolutivo che l'ha preceduta. E continuerà ad evolvere, man mano che ogni forma vivente continuerà instancabilmente ad esplorare nuove opportunità di successo e affermazione, a colonizzare nuove nicchie biologiche che a loro volta genereranno altre nicchie biologiche precedentemente inesistenti.
Se le spiegazioni scientifiche riguardo le ragioni o cause ultime della vita possono essere offerte sempre con approssimazione, è un fatto che tutta questa emergenza perpetua è davanti ai nostri occhi giorno dopo giorno. Ed è ciò che chiamiamo evoluzione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' centrale in questo tema, così importante, il ruolo della neghentropia o come la si vuole chiamare. Non si tratta solo di capire come un evento così complesso si sia innescato ma anche (legandomi alla tua revisione di scala) come sia possibile che in un universo entropico si creino e "galleggino" queste bolle di complessità screscente e improbabilità rispetto all'entropia. I sistemi autopoietici sono anche neghentropici e bisogna unire questi livelli.

Anonimo ha detto...

bel Pezzo complimenti
un saluto
Fabrizio