lunedì, novembre 12, 2007

Il tempo dei Qallunaat.


Nella cultura del popolo Inuit, che abita le zone artiche dell'Alaska, del Canada e della Groenlandia, noi occidentali siamo chiamati Qallunaat.
Gli Inuit hanno un concetto diverso del tempo rispetto a quello nostro.
Quella che segue è solo la citazione da un romanzo, in cui un uomo Inuit riflette riguardo il tempo:
Forse è stato questo il problema che ci ha afflitto nel secolo scorso: i Qallunaat ci hanno portato il tempo. Abbiamo dovuto imparare che esiste il tempo perso. I Qallunaat pensano che l'attesa sia tempo perso, e così perdono il tempo della loro vita.

da Il Quinto Giorno, di Frank Schatzing.

Il tempo, come lo intendiamo oggi, appartiene al patrimonio tecnico dell'umanità.
Il concetto di tempo nasce con l'utilità della sua misurazione, che probabilmente si è rivelata appieno con lo sviluppo dell'agricoltura.
E' chiaro che il susseguirsi di giorni e notti abbia sempre proposto una cadenza naturale anche ai nostri progenitori ominidi, ma non possiamo escludere che il ritmo della vita fosse piuttosto percepito come un ciclo, all'interno del quale cicli diversi si disponessero con ordini differenti.
Il ciclo della vita, e al suo interno cicli minori: il ciclo della fertilità, il ciclo della germinazione delle colture, il ciclo della caccia, quello della pesca, della luna, del sole, di alcune costellazioni; il ciclo dell'acqua, della transumanza, delle migrazioni stagionali. E da qui i cicli religiosi o protoreligiosi, i riti, le cerimonie anch'esse cicliche.

Il tempo probabilmente non esiste. La sua utilità tecnologica ha avuto un tale rilievo nella formazione della civiltà occidentale che oggi il solo pensiero che il nostro orologio digitale da polso stia semplicemente riflettendo le oscillazioni regolari di un cristallo di quarzo ci genera qualche momento di sgomento. Non la misura di una grandezza fisica in sé, o della grandezza fisica per eccellenza, ma semplicemente un ritmo associato alla regolarità di alcune dinamiche reali.
Quelle grandezze cui ci riferiamo quando parliamo di misura del tempo - il minuto, il secondo, l'ora - pensiamo siano in corrispondenza diretta con la nostra vita. Ogni minuto che passa ci appare in relazione biunivoca con la nostra esistenza naturale. Quasi che per ogni frazione di tempo passata si fosse consumata una quantità proporzionale della nostra stessa vita, del nostro organismo, della nostra mente, della nostra salute. E' quasi automatico, non ci fermiamo neanche a rifletterci su prima di accettarlo.

Ma questa grandezza non esiste. Einstein ne ha dimostrato la relatività. Prigogine ne ha chiarito l'incoerenza con i principi della termodinamica, invitandoci a cercare altrove la relazione tra la vita ed i suoi cicli biologici - ad esempio nelle strutture dissipative.

E allora corriamo di meno, e pensiamo di più.